di Michele Santeramo
regia Veronica Cruciani
con Massimo Foschi, Manuela Mandracchia,
Michele Sinisi, Gianni D’addario, Matteo Sintucci
scene e costumi Barbara Bessi
musiche Paolo Coletta (feat. Carmine Marigliano, flauto)
luci Gianni Staropoli
assistente alla regia Antonino Pirillo, Giacomo Bisordi
Produzione Teatro di Roma
da 30 marzo al 10 aprile 2016 Teatro Argentina, Roma
Dal 30 marzo al 10 aprile al Teatro Argentina debutta PREAMLETO, scritto da Michele Santeramo, diretto da Veronica Cruciani, con Massimo Foschi (Re Amleto), Manuela Mandracchia (Gertrude, sua moglie), Michele Sinisi (Claudio, fratello del Re), Gianni D’addario (Polonio, consigliere), Matteo Sintucci (Amleto, figlio del Re), una produzione Teatro di Roma.
Un testo che parte da Shakespeare per raccontare in scena cosa succede prima della morte di Re Amleto, analizzando in chiave contemporanea il concetto di potere. Re Amleto non è morto, Amleto vuole il potere, Gertrude sente che tutto le sfugge, Claudio non vuole usare nessun veleno contro suo fratello, Polonio aspetta che le cose si mettano a suo vantaggio. Così, i personaggi di Shakespeare sono colti nel loro privato prima che la tragedia abbia inizio e “sono diversi pima della vendetta – riflette la regista Veronica Cruciani – prima della violenza, quando ancora le cose si possono salvare. Ma forse, forse, le cose non si possono salvare”.
Immaginare quel che può accadere prima di quel «vendica il mio brutale e snaturato assassinio» da cui prende vita l’Amleto, significa provare a scoprire intrecci e motivazioni che nel testo shakespeariano si affidano solo alla fantasia dello spettatore. “Se cambiassero le premesse, la storia di Amleto sarebbe comunque piena di uccisioni, vendette, assassini? – si interroga l’autore Michele Santeramo – E quali le storture che si svilupperebbero in un gruppo stretto dal vincolo familiare e costretto a relazionarsi con il potere?”. Il testo prova a mettere di fronte allo spettatore i personaggi nell’atto di prendere la decisione che cambierà le vite di tutti, mostrando i retroscena dei rapporti familiari che diventano lo specchio di quanto il comportamento umano possa distorcersi ogni volta che si confronta con il potere. È questa l’indagine che Veronica Cruciani, regista da sempre interessata al rapporto tra memoria e drammaturgia, compie sul testo del Bardo: alla ricerca di una storia il cui canone non è più, come è stato per Amleto e per tutta la modernità, la parola “vendetta”.
Re Amleto è malato: non ha più memoria. Non ricorda niente, nemmeno chi sia sua moglie, né chi sia suo figlio Amleto, né tantomeno a quale faccia corrisponda suo fratello Claudio. Non ricorda niente ma comanda ancora, ha ancora potere di vita e di morte su tutti. La perdita continua della memoria produce nel personaggio del Re una tenerezza e una forza comica che sono centrali nel testo, accompagnate dalla presenza di Polonio, consigliere timoroso, sempre indeciso, pronto comunque ad “accorrere in soccorso dei vincitori”, come molte figure di questa Italia. “Le dinamiche della mafia si sono impadronite dei personaggi dell’Amleto – continua Veronica Cruciani – Il Re, ancora vivo, sembra malato e comanda. Come Provenzano, come i capi della mafia. La mafia che è la vera grande azienda che l’Italia ha saputo esportare nel mondo. Essere non è possibile, questo è il problema”.
Note di regia – Veronica Cruciani
Un bunker di cemento armato è il luogo in cui avviene questa storia.
Qui dentro vive il Re malato che ha perso la memoria ma non ancora il potere. E proprio il potere è il tema da cui siamo partiti con Michele Santeramo, tre anni fa, per sviluppare un’indagine che ci ha condotto a riflettere sulla famiglia, la mafia e la politica. Questo percorso – fatto anche di laboratori teatrali come “Alzheimer mon amour”, di riflessioni, discussioni e studi che abbiamo presentato al Teatro Franco Parenti di Milano e al Teatro India di Roma – è stato il terreno su cui sono nati i personaggi del Preamleto. Io e Michele abbiamo cercato di attualizzare l’opera di Shakespeare senza tradirla ma cambiandola completamente. Una storia attuale che racconta di una famiglia fatta di persone che cercano di farsi strada attraverso le proprie debolezze. Nessuno riesce a fare la cosa giusta al momento giusto; quella cosa giusta che cambierebbe le sorti della tragedia che conosciamo e che conduce inesorabilmente a violenza e morte.
In scena incontriamo i potenti riconosciuti come tali e quelli abituati a elemosinare un saluto o un favore. Il potere è crudele e implacabile, ma l’atteggiamento che abbiamo noi di fronte a esso è spesso quello di uomini stupidi e privi di giudizio. Riponiamo fiducia in chi comanda sperando che in futuro tutto possa andare meglio. Siamo le vittime del potere ma anche la sua causa. Insieme a questo gioco che parla di vite umane che si corrompono a contatto con il potere entra il teatro. In questa storia sono presenti un livello narrativo e uno meta teatrale che ho voluto evidenziare con la regia: personaggi intrappolati in un testo che non vogliono più recitare e altri invece che rincorrono una storia che sembrano già conoscere e poi il confronto tra generazioni diverse di attori. È un meccanismo di realtà e finzione che fa vivere la verità dei sentimenti e delle relazioni umane dentro l’artificio del teatro nel teatro. È stato difficile e stimolante lavorare con gli attori su questi due piani. Da una parte ho lavorato come sempre su un’interpretazione che portasse l’attore a stare e non a mostrare, a lavorare come mia abitudine nella direzione di un teatro vivo. Ho cercato di valorizzare le spinte vitali del testo e portare all’estremo alcuni conflitti drammaturgici cercando il più possibile di allontanarmi dagli stereotipi del teatro di prosa per cercare di parlare di noi, dell’oggi. Dall’altra parte invece ho lavorato con l’attore ricordandogli sempre della realtà scenica che viveva di momento in momento all’interno della storia, spingendolo a ricordarsi di stare dentro una finzione. Il personaggio del Re consapevole del futuro che lo aspetta si diverte a prendere in giro tutti gli altri personaggi che ancora credono in questa commedia, ma è anche l’attore che si confronta con la sua lunga carriera sui palcoscenici d’Italia e difende la necessità di continuare a fare commedie diverse da quelle che ha recitato fino adesso. I dubbi di Claudio sono quelli del personaggio ma anche quelli dell’attore a cui è stato assegnato quel ruolo. Gertrude, come in Shakespeare, complotta per il potere e come attrice sperimenta la rottura di certi schemi recitativi per abbracciarne sempre di nuovi nella ricerca costante di un dialogo che le è negato con gli altri personaggi, per cercare di sedurli. Amleto è giovane e impulsivo e non segue i consigli del padre e vuole recitare il ruolo che gli è stato assegnato e come giovane attore spesso entra in conflitto con le generazioni precedenti di attori. L’unico a non avere dubbi è Polonio che infatti recita la sua parte.
Uomo, attore e personaggio in questo spettacolo si alternano continuamente e il lavoro è stato quello di guidare l’attore in questa alternanza all’interno di una vita teatrale complessa che punta a non banalizzare i personaggi e a non raccontare un’unica verità.
Veronica Cruciani è regista e attrice, diplomata alla scuola d’arte drammatica Paolo Grassi. Nel 2003 interpreta e dirige insieme ad Arturo Cirillo il monologo Le nozze di Antigone (premio Oddone Cappellino e segnalato al premio Riccione), scritto per lei da Ascanio Celestini. Nel 2004 fonda la Compagnia Veronica Cruciani, con cui conduce un’indagine sul rapporto fra memoria e drammaturgia contemporanea. Nel 2008 con Il ritorno di Sergio Pierattini, di cui è regista e produttrice, vince il Premio della Critica per il miglior testo italiano. Nel 2009 vince il premio Cavalierato Giovanile della provincia di Roma. Nel 2011 produce e dirige La palestra di Giorgio Scianna, con Filippo Dini, Fulvio Pepe, Arianna Scommegna e Teresa Saponangelo. Nel 2012 vince il Premio Hystrio-Anct dell’Associazione nazionale dei critici italiani con la motivazione «per lo sguardo, antico e moderno al tempo stesso, con cui ha saputo leggere splendidamente luci e ombre della realtà del nostro tempo». Dal 2013 al 2015 è direttore artistico del Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma. Nel 2015 firma poi la regia del Preamleto di Michele Santeramo, con Massimo Foschi, Manuela Mandracchia e Michele Sinisi prodotto dal Teatro di Roma, e di Due donne che ballano di Josep Maria Benet i Jornet, con Maria Paiato e Arianna Scommegna prodotto dal Teatro Carcano di Milano. Molto attenta alla formazione dell’attore è attualmente tra i docenti della Scuola Officine Pasolini della Regione Lazio, Accademia Stap Brancaccio e Accademia Padiglione Ludwig. Nel cinema ha lavorato in diversi film italiani come attrice e acting coach. È tra i protagonisti di Viva la sposa, di Ascanio Celestini, presentato al festival di Venezia, e nel cast di Pecora Nera di Ascanio Celestini, di Dolce arte di esistere di Pietro Reggiani, di Un fidanzato per mia moglie di Davide Marengo, di Chiedimi se sono felice di Aldo Giovanni e Giacomo, di Lettere al presidente di Marco Santarelli.
Michele Santeramo, autore, narratore. Candidato nel 2014 al premio UBU come Migliore Novità Italiana per lo spettacolo “Il Guaritore”. Vince nel 2014 il premio Hystrio alla drammaturgia. Scrive, nel 2014, “Alla Luce”, per la regia di Roberto Bacci e la produzione di “Fondazione Pontedera Teatro”. Pubblica nel 2014 il romanzo “LA RIVINCITA” edito da Baldini e Castoldi. Vince nel 2013 il Premio Associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT), nel 2011 vince il Premio Riccione per il Teatro con il testo “Il Guaritore”. Del 2013 è il testo “LA PRIMA CENA”. Del 2012 è il testo “LA RIVINCITA”. Nel 2012 scrive e produce con teatro minimo “Storia d’amore e di calcio”. Vince nel 2011 il premio Riccione per il Teatro con il testo “Il Guaritore”. Conduce frequentemente laboratori di drammaturgia.