BRUTTO
di Marius Von Mayenburg
con Roberto Azzurro, Paolo Coletta, Monica Nappo, Alfonso Postiglione
scene Roberto Crea
costumi Daniela Ciancio
musiche Paolo Coletta
regia Carlo Cerciello
produzione Ente Teatro Cronaca
Napoli, Teatro Nuovo
dal 18 al 28 marzo 2010
L’opera, che potrebbe, a buon diritto, collocarsi nel genere “teatro dell’assurdo”, sotto le apparenze di una divertente satira sociale, rivela una complessa riflessione sull’identità. Viviamo tempi in cui sembra impossibile sottrarsi alla seduzione dell’immagine. L’abito, pare, faccia il monaco, in barba a qualunque proverbio. Siamo ciò che appariamo esteriormente. Non è casuale che il fenomeno mediatico del momento, ivi compresi i pericoli di sottrazione di identità ad esso connessi, abbia un nome composto: Facebook, dove face sta per volto e book per libro. “Il tuo volto è come un libro, in cui gli uomini possono leggere strane cose” dice Lady Macbeth al marito, temendo che, suo malgrado, possa tradire le segrete intenzioni criminose della coppia shakespiriana. Ogni volto, infatti, dichiara la sua storia, il suo vissuto, la sua individualità espressiva, le sue emozioni, pur nelle sue naturali imperfezioni. Oggi però, l’immagine ne sopravvaluta l’estetica, come segno distintivo della nostra identità, per cui l’essere brutti, che prima poteva non costituire un problema insormontabile, oggi proprio, non piace più a nessuno ed è legittimo che si tenti disperatamente di apparire “belli”, secondo i canoni che l’attuale società delle apparenze stabilisce, quali pass par tout per il successo garantito. In tal modo, assistiamo al fenomeno tristissimo dell’omologazione dei volti che ricorrono alla chirurgia estetica. Le donne, che i modelli mediatici di seduzione legano sempre più alla giovinezza, costrette a farvi ricorso, finiscono per rassomigliare sempre più a dei cyborg transessuali, senza età, dei volti senza storia né vissuto, svuotati della capacità di esprimere emozioni e sentimenti.
Ecco, “Brutto” mette in luce tutto questo, sfida attori e pubblico sul piano dell’apparenza. Con un meccanismo volutamente provocatorio, infatti, gli attori mantengono il loro volto nudo, incuranti del cambio di personaggio, indifferenti ai cambiamenti del volto che i personaggi subiscono come conseguenza delle operazioni di chirurgia estetica, cui si sottopongono per cambiare identità. A loro volta, i personaggi, pur diversi tra loro, sono contraddistinti da un unico nome, proprio a sottolineare la confusione e lo smarrimento della vera identità, dietro l’affannosa ricerca di un immagine esteriore universalmente accettabile, seppur omologante. In “Brutto”, l’incubo diventa realtà, l’apparenza, la vera identità; assistiamo impotenti e complici alla cancellazione delle differenze, alla clonazione delle identità.
La trama
Lette, che lavora per Schleffer, deve presenziare ad una convention con la presentazione della propria invenzione, quando scopre che Karlmann, suo collega, è stato selezionato per farlo al posto suo. Schleffer spiega a Lette che la scelta è data dal fatto che lui è troppo brutto. Lette consulta sull’argomento sua moglie Fanny, che gli conferma la sua assoluta bruttezza fisica. Sembra che Lette fosse all’oscuro della sua mancanza di bellezza. Lette consulta, quindi, il chirurgo estetico Schleffer e si fa fare un’operazione che lo trasforma in un uomo bellissimo. Le cose sembrano cambiare in positivo la vita di Lette, che non solo ora può tenere la sua presentazione e fa letteralmente impazzire di desiderio sua moglie e in genere tutte le donne, ma, alla convention, diventa l’oggetto sessuale delle brame della 73enne Fanny, una veterana della chirurgia estetica e del figlio di lei, Karlmann. I guai per Lette, però non tardano ad arrivare: il chirurgo Schleffer, per soldi e ambizione, decide di clonare la faccia di Lette.
Marius von Mayenburg
Marius von Mayenburg nasce nel 1972 a Monaco di Baviera. Dal 1995 inizia a scrivere testi per il teatro, firmando tra gli altri, i seguenti testi: “Haarmann”, “Messerhelden”, “Fraulein danzer” e “Monsterdammerung”. Nel 1997 ottiene il suo primo vero successo con “Feuergesicht”, per il quale riceve il “Kleistforderpreis fur junge Dramatiker” e il “Preis der Frankfurter Autorenstiftung”. Dopo il debutto, accolto con grande successo nell’ottobre del 1998, lo spettacolo ha avuto numerose riprese in tutta la Germania tra cui quelle di Thomas Ostermeier a Berlino e di Dominic Cooke al Royal Court Theatre di Londra. Il suo lavoro, Parassiti, è stato rappresentato per la regia di Thomas Ostermeier al Deutsches Schauspielhaus di Amburgo nel maggio 2000.
STAMPA
Presentazioni
Al Nuovo c’ è “Brutto” essere oppure sembrare
Lette scopre di essere «troppo brutto», non se n’ era mai accorto ma apprende che per questo motivo il suo collega Karlmann prenderà il suo posto; chiede così aiuto al chirurgo estetico Schleffer, che lo trasforma in un uomo bellissimo. Sembra cronaca dei nostri giorni. Invece questo gioco della trasformazione «per sembrare più bello ed avere successo», è l’incipit di “Brutto” di Marius von Mayenburg, giovane autore del teatro tedesco, che l’ente Teatro Cronaca presenta domani in prima nazionale al Nuovo. Protagonisti Roberto Azzurro, Paolo Coletta, Monica Nappo ed Alfonso Postiglione, regia di Carlo Cerciello, per raccontare quella che il regista definisce «un’ opera che potrebbe a buon diritto collocarsi nel teatro dell’assurdo, e che, sotto le apparenze di una divertente satira sociale, rivela una complessa riflessione sull’identità». Dopo la trasformazione la vita di Lette cambia passo, e l’uomo diventa rapidamente oggetto del desiderio di donne giovani e vecchie. Gioco crudele e paradosso «del nostro tempo, in cui sembra impossibile sottrarsi alla seduzione dell’immagine perché siamo ciò che sembriamo, e non credo sia casuale che il fenomeno mediatico del momento, compresi i pericoli di sottrazione di identità ad esso connessi, abbia un nome composto: Facebook, dove face sta per volto e book per libro», dice ancora Cerciello. Quattro i personaggi in scena: Lette naturalmente e sua moglie Fanny, il suo datore di lavoro Scheffler e il collega usurpatore, Scheffler, il chirurgo dalle abili trasformazioni e dalle spregiudicate imprese e l’ infermiera Fanny, la ricca settantatreenne Fanny ed il suo figlio Karlmann. Nomi, come si vede, che si ripetono e rincorrono, sovrapponendosi ai personaggi come possibili confusioni che l’autore vuole siano affidati ai medesimi attori. «Le tre Fanny saranno interpretate dalla stessa attrice, lo stesso vale per i due Scheffler e i due Karlmann; gli attori saranno dunque complessivamente quattro. Lette dovrebbe essere di aspetto normale: non occorre renderlo brutto, mi figuro inoltre che dopo le operazioni non si colgano cambiamenti nei volti degli attori», indica infatti Marius von Mayenburg a chi mette in scena la sua commedia. Raccomandazione naturalmente colta da Cerciello. «In “Brutto” l’incubo diventa realtà, l’apparenza la vera identità ed assistiamo impotentie complici alla cancellazione delle differenze, alla clonazione delle identità».
[Giulio Baffi – Repubblica Napoli, 18 marzo 2010]
Recensioni
Un protagonista “Brutto” nel gioco dell’ invenzione
Meglio “bruttissimo” che “bellissimo”? Incerte risposte per chi cerca successi professionali. Nel bel gioco d’intrecci estetico-esistenziali messi insieme da “Brutto” di Marius von Mayenburg in prima nazionale al Nuovo. Produzione Ente Teatro Cronaca, regia di Carlo Cerciello. Divertenti protagonisti Roberto Azzurro, Paolo Coletta, Alfonso Postiglione e la splendida Monica Nappo. In gran gioco d’invenzione a costruire moltiplicazioni o clonazioni di personaggi, secondo l’indicazione dell’autore, e l’ironia veloce proposta da Cerciello. Eccellente rigore e fantasia nelle scene di Roberto Crea, disegno luci di Cesare Accetta e musiche di Paolo Coletta. Applausi e repliche fino a domenica 28.
[Giulio Baffi – REPUBBLICA NAPOLI, 20 marzo 2010]
<b>“Brutto” al Teatro Nuovo,
Poker d’assi in scena per Carlo Cerciello</b>
La società di oggi è fondata su alcune basi che hanno ben poco di materiale ma parecchio di fatuo e superficiale, tutto ruota intorno all’immagine, alla bellezza estetica, all’apparire. “Brutto” di Marius Von Mayenburg, portato in scena al Nuovo Teatro Nuovo con la regia di Carlo Cerciello, è un’opera che mette sotto i riflettori proprio questa condizione umana, tessendo una trama che appartiene alla satira e al teatro surreale, ma che nasconde invece il bisogno di riflettere su quello che conta e ciò che dovrebbe invece contare realmente nella vita di tutti noi. Il protagonista è Leffe, un uomo dall’esistenza normalissima, con un lavoro, una moglie e la gioia di aver inventato un nuovo prodotto da presentare ad un importante convention. Ma quando Leffe si accorge di essere stato sostituito all’incontro da un suo collega, per un puro motivo di bellezza estetica, e dopo aver ricevuto una sonora conferma dalla moglie, decide di sottoporsi ad un intervento chirurgico per migliorare il suo aspetto. La bellezza splendente che riceverà in dono gli porterà lustro e fama, ma rappresenterà anche il suo incubo peggiore. Fantastico il poker di attori in scena, da un Roberto Azzurro prima brutto anatroccolo e poi adone adorato da uomini e donne, convincente vittima dei tempi che corrono e straordinario nel toccante monologo finale, ad una Monica Nappo dolce mogliettina dalla tagliente crudeltà nonché lussuriosa donna matura rapita dal fascino del protagonista. Paolo Coletta che ha curato anche le musiche dello spettacolo, passa senza problemi dalla compostezza di un impiegato scelto come sostituto del vero inventore per la convention iniziale ad un omosessuale poco represso, figlio di una madre padrona, così come Alfonso Postiglione caratterizza bene i due personaggi principali che porta in scena. La regia di Carlo Cerciello è però l’ingrediente fondamentale che ha reso lo spettacolo interessante ed intelligente, sfruttando al meglio l’avveniristica scenografia di Roberto Crea, che ha permesso agli attori di passare da un’ambientazione all’altra pur senza veri elementi scenici. Il coraggioso regista ha anche saputo destreggiarsi perfettamente nella scelta di utilizzare gli stessi quattro attori per coprire tutti i ruoli che “Brutto” richiede, senza creare confusione nel passaggio, anche immediato, da un personaggio all’altro, aiutato ovviamente dalla bravura dell’intero cast. Questa particolare scelta rende alla perfezione l’idea dell’omologazione che inquina la nostra cultura, la mancanza di invidualità che permettano una distinzione netta tra una persona e l’altra. In un periodo come quello attuale in cui si pensa soltanto ad essere al meglio esteriormente, uno spettacolo come “Brutto” non può che permettere una riflessione riguardo l’importanza di guardarsi dentro ed abbandonare il fugace valore di un bel viso o un corpo sensuale, a favore di ben altri tipi di bellezza.
[Gaetano Cutri – IL BRIGANTE, 21 marzo 2010]
<b>La solitudine dell’apparenza</b>
La società attuale, del tutto organizzata e puntualmente incardinata sull’esasperata architettura visuale di ogni gesto, sulla gradevolezza del sembiante, quale misura incandescente di ogni filo a piombo, svuotando il quotidiano di ogni apporto sostanziale, del vero e primigenio nutrimento delle cose, si è trasformata, servendosi di anfiboli strumenti catodici e di massa, in un’enorme ed ubiquitaria vetrina sulla vita, come la struttura che, disegnata con arguzia dal bravo Roberto Crea, è corridoio di relazioni e compromessi, luogo da cui l’immagine si impone e si riflette, gabbia per idoli senza identità, esseri per cui l’alienazione non è più solo astratto concetto di critica marxista, ma la concreta estraneità del proprio essere umani, l’esibizione triste e desolata del desiderio che gira su stesso.
“Brutto” ci offre, dunque, un simpatico affresco epocal-esistenziale della nostra società, generazione risucchiata nella rete luminosa del sembrare, affetta da un’irreversibile distorsione percettiva, quella secondo cui la nostra immagine si correda di senso e di coscienza solo nella sua interminabile tensione ad apparire; in tale prospettiva i personaggi, tipi umani del tutto soffocati dal vacuo attivismo e dall’idolatria del bello, sono solo qualche spanna più in là dei nostri quotidiani compagni di schiavitù, perciò appena un po’ più schiavi di questo assurdo paganesimo performativo, di questa degenerazione da “personality market” che ci svuota di quel che siamo per uniformarci al modello imposto dal bieco opportunismo dello Scheffler di turno – un perfetto Alfonso Postiglione.
In realtà, urge davvero sottolineare che quel che rende questa messinscena un’operazione preziosa ed imperdibile, è proprio la bravura assoluta degli interpreti dacché, diretti con la solita cura e la solita sensibilità artistica dall’ottimo Carlo Cerciello, riescono ad imprimere ritmo, carattere e grinta ad un testo che, sebbene strappi più di una risata e qualche amara considerazione, nel complesso vive, appassiona e trascina solo in virtù dell’impareggiabile ed ipnotico funambolismo attoriale di Roberto Azzurro e Paolo Coletta (grande ed attesissimo ritorno di una coppia storica del teatro italiano!) e dell’evidente bravura di Monica Nappo che passa, con un’agilità non comune, dal ruolo della moglie a quello dell’amante ninfomane, confermando il suo talento e la sua riconosciuta vocazione a ricoprire con grande entusiasmo ed energia ruoli comici e grotteschi.
[Claudio Finelli – Teatro.org]
<b>Concerto per facce sulla perdita d’identità</b>
Per restare (dopo «Ecuba») nell’ambito della Grecia classica, viene spontaneo dire che l’Anteo teatrale è Carlo Cerciello: perché, come il mitico re della Libia, figlio di Poseidone e di Gea, ritrovava per incanto le forze appena toccava la Madre Terra, così Cerciello ritrova di colpo l’inventiva e l’originalità appena lascia il cielo formalistico della scena «ufficiale» e ridiscende nella dimensione concreta del suo Elicantropo. Infatti è con alcuni dei più fedeli tra quanti collaborano con lui nell’indomito avamposto del vico Gerolomini che ha realizzato l’allestimento di «Brutto» presentato al Nuovo dall’Ente Teatro Cronaca di Mico Galdieri. Si tratta di un testo, per la prima volta messo in scena in Italia, di Marius von Mayenburg, uno dei nuovi autori tedeschi di spicco e «dramaturg» di Ostermeier alla Schaubühne di Berlino. Ed è un apologo sulla perdita dell’identità. Lette, un inventore, ricorre al chirurgo plastico per porre riparo alla sua indicibile bruttezza. E si trasforma, sì, in un uomo bellissimo e corteggiatissimo, ma nello stesso tempo deve accorgersi che non si riconosce più: si scopre prima invidioso dell’«altro» che è diventato e poi geloso dei moltissimi «sé» che il chirurgo ha messo in circolazione clonando la sua nuova e oltremodo «riuscita» faccia. Si capisce, quindi, che i pregi del testo di von Mayenburg consistono nel paradosso e nell’iperbole surreale, spinta, quest’ultima, sino al parossismo di un finale in cui tutta una serie di frasi fatte slittano nel «nonsense» proprio per testimoniare la confusione tra le identità originali e quelle riprodotte: si va, poniamo, da «non posso vivere senza di me» a «quando mi guardo negli occhi dimentico tutto il resto». E conta, perciò, il fatto che uno dei problemi più drammatici di oggi viene affrontato con tono leggero e, talvolta, francamente comico. Ebbene, la regia di Cerciello illustra e sottolinea tutto questo con una linearità che fa rima con allusività e polisemanticità. I personaggi si muovono quasi sempre all’interno di nove contenitori comunicanti disposti in semicerchio e che rimandano alternativamente alle teche in cui si conservano i reperti anatomici, alle cabine telefoniche e ai «séparés» destinati all’abbronzatura artificiale. E poiché di tanto in tanto ne escono per eseguire i loro assoli al proscenio, l’insieme potrebb’essere definito con termini musicali: un concerto per facce sul basso continuo dell’individuo negato. Gli ottimi strumentisti di questo teatro da camera sono Roberto Azzurro (Lette) e, ciascuno in più ruoli, Monica Nappo, Alfonso Postiglione e Paolo Coletta. A qualche calo di ritmo, poi, si potrà ovviare con il procedere delle repliche.
[Enrico Fiore – IL MATTINO, 25/03/2010]
<b>Quant’è brutto si rifaccia la faccia</b>
Già enfant prodige del nuovo teatro tedesco il quasi quarantenne Marius von Mayenburg ha firmato Brutto, bel testo surreale dove un uomo di mezza età è costretto dalla sua ditta a rifarsi la faccia per superare una bruttezza di cui lui era del tutto ignaro. Diventa popolare, mentre le sue deprecate fattezze vanno di moda e si perde il concetto d’identità, tanto che la pièce prevede che tre dei quattro interpreti facciano ciascuno più ruoli che ne denotano il ruolo nella società o il sesso. Nello spettacolo diretto da Carlo Cerciello per l’Ente Teatro Cronaca spiccano allora le fattezze di Alfonso Postiglione, Monica Nappo, Paolo Coletta glissando tra l’essere e non l’essere tra le vetrine in uno show di gran classe.
[Franco Quadri – REPUBBLICA, 27/3/2010]
BRUTTO
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“Your body is a battleground” declared commandingly, in bold white type over red background, Barbara Kruger. It was 1989, and as the decade of excess drew to a close, the post-feminist American artist, deliberately appropriating from the language of advertising, condensed in a knife-edged slogan a turbulent shift in the global perception of the body.
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<i>From left: Roberto Azzurro. Monica Nappo.<i/>
With the 80s quest for a body of absolute, almost post-human or anti-human perfection – as if beauty has anything to do with perfection, actually – the idea of beauty had morphed, once and for all, from something that is given and un-definable into something perfectly defined that one can artificially attain. Plastic surgery, invasive and obtrusive, replaced make-up, and, just like make-up, it was common, not anymore a privilege of the upper classes.
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<i>From left: Alfonso Postiglione. Roberto Azzurro.</i>
Contemporary esthetic is still based on the very same principles, as Brutto (Ugly) the theater play written in 2006 by Marius Von Mayenburg demonstrates. Recently on stage at Naples’ Teatro Nuovo, directed by Carlo Cierciello, Brutto tells the story of an ugly man who, after an operation, becomes beautiful, falling in love with himself while jumping from one surreal situation to the other.
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<i>From left: Paolo Coletta. Alfonso Postiglione. Roberto Azzurro.</i>
Using an almost cinematic montage, high-tech props and deliberately choosing not to show any changes – the actors are the same, before and after surgery – Cerciello, by way of Von Mayenburg, touches a nerve: the desperate need to be beautiful, today, obeys to commonly-accepted models; surgery, making models real, creates an army of clones. The prophetic Pier Paolo Pasolini in the early 70 called it homologation.
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<i>From left: Monica Nappo. Alfonso Postiglione. Roberto Azzurro. Paolo Coletta.</i>
He was addressing behavioral patterns and social fashions, but, as ever, reality has proven far more fantastic than fantasy. The antidote might be a stubborn cultivation of peculiarities: quite a difficult task in our era of mass-marketed individualism.
[Angelo Flaccavento—Alessio Nesi Blog]